Chi è il Facilitatore Sociale?
Il Facilitatore Sociale è una persona che ha attraversato un disagio psichico, è ad un buon punto nel suo percorso di cura e riappropriazione di un’identità di salute, consapevolezza, Empowerment e di convivenza/lotta con la propria sintomatologia e, attraverso un corso di formazione professionale e un continuo aggiornamento tramite supervisioni settimanali e mensili, ha la possibilità di trasformare il suo vissuto personale di malattia e guarigione in una risorsa nella relazione d’aiuto e di accompagnamento degli utenti. Lavora in equipe con gli psichiatri e gli assistenti sociali che hanno in carico l’utente, svolgendo un importante ruolo di mediazione, aiutando il paziente ad usufruire con fiducia delle opportunità di cura e a comunicare con sincerità i proprio reali bisogni ai medici, cosa che spesso risulta difficile a causa delle barriere del ruolo, spingendolo così ad essere al centro della propria cura.
- Tramite il rapporto paritario che lega il facilitatore al facilitato, si crea un ottimo legame di fiducia che facilita l’individuazione dei bisogni dell’utente e il sostegno nei momenti di crisi. 2) I Facilitatori sono un esempio costante per l’utente del fatto che è possibile guarire e di quanto sia importante auto-determinarsi e riappropiarsi del proprio percorso di vita. 3) Si prendono cura della riattivazione delle abilità sociali dell’utente, sostenendolo nella ricostruzione di una rete amicale, la ristrutturazione del tempo e il miglioramento della qualità della vita, accompagnandolo a laboratori di arteterapia, ai gruppi d’auto-aiuto e attività ricreative. 4) Accompagnano le persone in inserimento lavorativo nell’associazione facendo un’attività di tutoraggio per valorizzare epotenziare le capacità della persona, aiutatati dall’esperienza diretta delle difficoltà che si possono incontrare quando si riprende a lavorare dopo e durante un disagio mentale. 5) Portano avanti un assiduo lavoro di promozione della salute mentale e contro lo stigma, partecipando a convegni, consulte, tavoli di progettazione per portare la voce degli utenti e dimostrare il valore dell’Advocacy, dell’Empowerment e dell’auto-aiuto nella cura del disagio mentale. 6) Conducono i gruppi d’auto-aiuto e promuovendo sul territorio la cultura del self-help
Gruppi di Auto-Aiuto
Perché un gruppo di auto-aiuto? Per un graduale allontanamento e per soddisfare i bisogni al di fuori delle strutture istituzionali. Per vincere la solitudine. Per conservare l’autonomia acquisita durante i programmi terapeutici. Per ricercare le abilità necessarie a rafforzare l’autostima e l’autodeterminazione. È una opportunità, un metodo semplice e spontaneo che permette ai partecipanti di modificare le proprie abitudini e comportamenti in relazione al proprio stato, permettendo una graduale assunzione di responsabilità rispetto al proprio benessere. L’obiettivo principale del gruppo, dove è possibile, è innanzitutto il superamento o l’accettazione del proprio disagio specifico. Imparare nuovi e più gratificanti modelli comportamentali, rafforzare l’immagine di sè e delle proprie capacità, aiutare gli altri partecipanti a raggiungere una certa padronanza di sè e dell’ambiente in cui vivono, aumentandone le capacità individuali attraverso l’empatia e la condivisione di esperienze e sentimenti. Nel gruppo si può trasformare l’atteggiamento di “destino-delega” con un altro in cui il partecipante sarà aiutato in un percorso che comporterà sè, prese di coscienza sostenibili, ma anche tentativi di fuga per timore di eccessi di responsabilità. Il gruppo si basa su due elementi: – Uno legato alla solidarietà propria dell’essrere umano e allo scambio di esperienze per mobilizzare ciò che è staticizzato e per uscire dalla solitudine che spesso costituisce un grosso problema; – L’altro legato invece ad un processo di coscientizzazione sia individuale che collettiva; Il fine è quello di emancipare, sollecitare l’autonomia e l’autodeterminazione, esaltando le capacità organizzative, l’iniziativa individuale, la propositività, la capacità di socializzare, il piacere di stare insieme, l’acquisizione del senso della partecipazione, della disponibilità a farsi aiutare e ad aiutare gli altri, favorire la cultura della speranza e dell’osare un po’ di più attraverso il recupero di un complessivo atteggiamento ottimistico verso la curabilità, lo stare meglio. Il gruppo d’auto-aiuto non si contrappone né si sostituisce ad altre forme di cura. (Roberto Pardini, Volontario Facilitatore Sociale, 27 Ottobre 2007)
Non essendo ancora stata regolamentata questa figura professionale a livello nazionale, non sussistono requisiti formali per accedere ai corsi di formazione attivati dai servizi sociali o dalle organizzazioni operanti nel terzo settore. Nella maggior parte dei casi viene tuttavia richiesto il possesso del diploma di scuola media superiore e, in alcuni casi, avere già maturato un’esperienza come collaboratore nei servizi socio-assistenziali di riabilitazione pubblici o privati. Non esiste un albo professionale specifico pertanto l’attività può essere liberamente svolta, nel settore pubblico o privato (associazioni, cooperative, ecc.). In seguito al decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 18 marzo 2005, con cui sono state ripartite le risorse necessarie agli enti locali per le sperimentazioni in materia di tirocini formativi e d’orientamento. Alcune amministrazioni regionali e provinciali hanno previsto la costituzione di Elenchi di soggetti abilitati a svolgere la funzione di Facilitatore Sociale al fine di promuovere e realizzare il reinserimento lavorativo di soggetti in difficoltà. |